di Roberto Pinotti
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Una protostoria caratterizzata da visite di esseri provenienti dal
cielo su "carri volanti", i "vimana", divinizzati dagli antichi e
dietro cui si celavano piloti extraterrestri.
Al di là di quanto affermato da un Peter Kolosimo prima e da un
Erich Von Daniken poi, era questa la prospettiva accettata anche
dallo studioso inglese Lord David William Davenport (tragicamente
venuto meno non ancora 35enne per un male incurabile), nato in India
ed esperto di lingue orientali, e di cui abbiamo qui riportato il
precedente articolo postumo.
Secondo Davenport,
Mohenjo-Daro, l’antica città della valle
dell’Indo, sarebbe stata distrutta da un’esplosione di tipo atomico;
e le testimonianze di quanto asserisce si troverebbero negli antichi
testi sanscriti.
Davenport e il giornalista Ettore Vincenti (anch’egli poi
immaturamente scomparso), coautori di un libro su questa suggestiva
ipotesi, (2000 a.C.: distruzione atomica, ed. Sugarco, Milano 1978)
portano a sostegno delle loro affermazioni le analisi compiute da
una équipe dell’Università di Roma su alcuni frammenti calcinati e
fusi di vasi e di mattoni e su pezzi di bracciali contorti e
vetrificati, trovati tutti nell’antica città indiana (oggi
geograficamente nel Pakistan).
I risultati delle analisi, condotte dal prof. Bruno Di Sabatino,
incaricato di vulcanologia all’istituto di mineralogia e petrografia
e dai professori Amleto Flamini e dal dottor Giampaolo Ciriaco,
indicano che i reperti sono stati sottoposti a temperature superiori
ai 1500 gradi, ed in tempi brevissimi.
Secondo gli esperti l’enorme fonte di calore che ha agito sui
materiali ritrovati, non si può attribuire a fenomeni naturali: un
vulcano avrebbe reso la materia esaminata più compatta, un meteorite
presenterebbe una composizione chimica diversa da quella analizzata,
un terremoto avrebbe scomposto le falde acquifere e gli stati
geologici della zona.
In merito a questa ultima considerazione, le fotografie scattate a
Mohenjo-Daro dimostrerebbero che tutto è rimasto al suo posto,
compresi i pozzi d’acqua tuttora funzionanti, escludendo quindi,
l’ipotesi di un terremoto.
"Sono partito - dice Davenport - dall’esame degli antichi libri
indiani, scritti in sanscrito, che descrivono la storia di tremila
anni fa e degli ariani invasori della valle del Pakistan. Dalle
descrizioni dei libri sono risalito alla geografia attuale delle
località, identificando le zone corrispondenti moderne".
Sempre secondo Davenport, gli scheletri ritrovati a Mohenjo-Daro
testimonierebbero,
"una morte improvvisa e violenta, senza tracce di
ferite di armi bianche, con evidenti segni di calcinazione e
carbonizzazione delle ossa".
Certamente si tratta di una ipotesi rivoluzionaria, in totale
opposizione alla tesi tradizionale secondo cui la distruzione della
zona della valle dell’Indo che comprende i centri urbani di Harappa
e Mohenjo-Daro testimonierebbe invece un evento storico dovuto a
eventi del tutto naturali (un incendio conseguente ad un assedio),
ma è pur sempre una ipotesi da vagliare attentamente senza visioni
preconcette, per poter in qualche modo arrivare a svelare uno dei
misteri archeologici più interessanti della nostra protostoria.
Originalissimo best seller internazionale del 1953 "Flying Saucers
Have Landed" dal compianto antesignano in questo campo di ricerche
Sir Desmond Leslie, nipote di Winston Churchill, oggi il testo di Davenport e Vincenti è esaurito e del tutto introvabile.
Ciò nonostante, per compiacere le reiterate richieste di numerosi
lettori, abbiamo deciso infine di ricordare l’impegno di questo
giovane ricercatore anglo-indiano proponendo al pubblico odierno un
suo scritto originale del 1979 che non ha minimamente perso la sua
attualità, riservandoci eventualmente di ritornare in seguito sulle
tematiche cui esso fa specifico riferimento.
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