Come la
New York del recente film Independence Day, una metropoli del passato
potrebbe essere stata rasa al suolo da una micidiale arma aliena,
molto simile a un moderno ordigno atomico. Questa è l'opinione di un
ricercatore inglese che ha passato la vita a studiare le rovine di
Mohenjo-Daro sede di una fiorente civiltà indiana scomparsa
improvvisamente più di quaranta secoli fa.
La civiltà dell'Indo
Tra il 2500 e il 2100 a.C. nella valle dell'Indo situata nell'attuale
Pakistan fiorì una cultura che molti archeologi e storici non esitano
a paragonare per magnificenza e splendore a civiltà come quella
mesopotamica ed egizia. Come queste ultime la civiltà dell'Indo sorse
lungo il corso di un fiume (l'Indo per l'appunto) e sviluppò
concezioni urbanistiche a dir poco rivoluzionarie, che si
concretizzarono nella costruzione di grandi città (che per l'epoca
erano vere e proprie metropoli) i cui resti, visibili ancora oggi,
forniscono una testimonianza fondamentale di che cosa significava nel
mondo antico pianificare a regola d'arte un centro urbano di notevoli
dimensioni.
Le due più importanti città della civiltà dell'Indo erano Harappa e
Mohenjo-Daro. La prima sorgeva a nord della valle la
seconda verso sud-est. Per quanto si può giudicare dalle rovine
riportate alla luce dalle spedizioni archeologiche, Harappa e
Mohenjo-Daro erano città molto simili tra loro (ciascuna aveva un
perimetro di oltre 5 km e contava, nel periodo di maggior espansione,
una popolazione di 40.000 abitanti) e per le loro notevoli dimensioni
sono considerate le città più grandi del mondo antico.
Questi centri urbani dotati di comfort molto simili allo standard
odierno (servizi igienici, riscaldamento, rete fognaria efficiente...)
sono stati progressivamente portati alla luce solo nel 1944 grazie
all'opera di Sir Mortimer Wheeler, allora Direttore archeologico
generale dell'India, che fu il primo a constatare con meraviglia il
livello tecnologico raggiunto dai popoli dell'Indo.
Popoli che come spesso accade hanno lasciato un scrittura indecifrata
a testimonianza della loro presenza. Questa scrittura è un vero e
proprio enigma. Gli studiosi hanno classificato circa quattrocento
segni, per lo più presenti su sigilli e iscrizioni, ma sicuramente ve
ne sono altri ancora da classificare. La scrittura è di tipo
pittografico, e tra i molti tentativi di decifrazione va sottolineato
quello di un gruppo di linguisti finlandesi i quali sostengono che i
segni non descriverebbero direttamente le cose ma corrisponderebbero
ai suoni mediante i quali venivano pronunciati. Le iscrizioni
sarebbero dunque molto simili a dei rebus, ma per risolvere la
questione occorrerebbe una chiave di decifrazione, una sorta di stele
di Rosetta che per il momento non è ancora venuta alla luce.
La furia di Indra
Ma l'aspetto più misterioso di questa civiltà riguarda la sua
improvvisa scomparsa.
Fu una fine repentina, che la scienza ufficiale spiega con due
ipotesi.
-
La
prima prende in considerazione una serie di successive e
disastrose inondazioni del fiume Indo, responsabili di aver indebolito
un popolo da tempo impegnato a contrastarle.
-
La
seconda chiama in causa le ripetute invasioni dei popoli Ari,
e i segni di bruciatura trovati sui muri di Mohenjo-Daro,
muti testimoni di una guerra cruenta, sembrerebbero confermare questa
possibilità.
Quando le
genti arie raggiunsero la valle provenendo da nord vi trovarono una
popolazione fiaccata, indebolita, che conduceva una vita di stenti
nelle vecchie gloriose città ormai in piena decadenza. Gli invasori
non ci pensarono due volte ed approfittarono dell'occasione innescando
un violento conflitto.
Di questa guerra dimenticata, secondo gli studiosi di letteratura
indiana, si può trovar traccia nei testi mitologici e nelle antiche
leggende del subcontinente indiano.
Nel Rigveda, testo sanscrito risalente al secondo
millennio avanti Cristo, è scritto che il popolo di invasori Ari che
giunsero in India intorno al 1500 a.C. erano guidati dal dio Indra,
soprannominato "il distruttore dei forti" perchè era responsabile
della distruzione di "novanta forti e cento antichi castelli". Un
tempo si pensava che questi forti appartenessero soltanto al mito ma
le scoperte di Wheeler nella valle dell'Indo fanno propendere
per un'intepretazione quasi letterale del testo. Ci fu indubbiamente
un conflitto di vaste proporzioni e naturalmente (come in Occidente
per l'Impero romano nei confronti dei barbari, molti secoli più
tardi), la civiltà in decadenza non poté far altro che soccombere
sotto la spinta dei nuovi popoli.
Se fu davvero il mitico Indra a distruggere la città di
Mohenjo-Daro, c'è da pensare che non ebbe certo la mano
leggera. I corpi ritrovati nella città testimoniano che uomini, donne
e bambini furono trucidati senza pietà. Gli scheletri e i muri dei
palazzi ci rivelano anche che la città dovette subire una sorta di
attacco finale che culminò in uno spaventoso rogo.
Questa fine improvvisa e drammatica viene spiegata come il risultato
di un incendio scoppiato durante la battaglia, evento tutt'altro che
raro nel corso di una guerra. Tuttavia qualcosa nella spiegazione
convenzionale non torna.
Distruzione atomica
In realtà Mohenjo-Daro fu distrutta da qualcosa di molto
simile a un'esplosione atomica. A sostenerlo per primo è stato
David Davenport, un inglese nato in India ed esperto di
letteratura sanscrita e di tradizioni popolari indiane. Per giungere a
una simile conclusione Davenport è partito dal presupposto,
peraltro condiviso da molti studiosi indiani, che i testi sanscriti
non raccontano eventi mitologici ma fatti realmente accaduti ricoperti
poi in seguito da una patina di mitologia. Da questo punto di vista i
poemi epici come il
Ramayana
o il Mahabharata
riporterebbero la descrizione di veicoli volanti di ogni forma e
dimenione e di armi che farebbero invidia agli arsenali strategici
delle moderne potenze nucleari.
Ecco la descrizione tratta dal Mahabharata degli effetti
di una di queste armi chiamata Agneya:
"Un
missile sfolgorante che possedeva lo splendore del fuoco senza fumo
venne lanciato. All'improvviso una densa oscurità avvolse gli
eserciti. Tutti i punti cardinali vennero avvolti improvvisamente
nelle tenebre. Venti terribili incominciarono a soffiare. Le nuvole
ruggirono negli strati superiori dell'atmosfera, facendo piovere
sangue. Gli stessi elementi sembravano confusi. Il Sole sembrava
girare su se stesso. Il mondo, ustionato dal calore di quell'arma,
sembrava in preda alla febbre. Gli elefanti, ustionati dall'energia di
quell'arma, fuggivano in preda al terrore, cercando un riparo che li
difendesse da quella forza terribile. Persino l'acqua si riscaldò, e
le creature che vivono nell'acqua parvero bruciare. I nemici caddero
come alberi arsi da un incendio devastatore. Enormi elefanti, bruciati
da quell'arma, cadevano da ogni parte. Altri, ustionati, correvano qua
e là, e barrivano spaventosamente nella foresta in fiamme. I destrieri
e i carri, arsi dall'energia di quell'arma, sembravano moncherini
d'alberi consumati nell'incendio di una foresta. Migliaia di carri
caddero da ogni parte. Poi le tenebre nascosero tutto l'esercito ..."
Il
testimone oculare di quel terribile olocausto continua poi a
descrivere gli effetti dell'arma devastatrice:
"Incominciarono a soffiare venti freddi. Tutti i punti cardinali
divennero chiari e luminosi. Poi noi contemplammo uno spettacolo
prodigioso. Arse dalla potenza terribile di quell'arma, le figure dei
caduti erano divenute irriconoscibili. Noi non avevamo mai udito
parlare di una simile arma, né mai l'avevamo veduta".
A
trasportare queste potenti armi, i cui effetti somigliano proprio alle
conseguenze di un'esplosione nucleare, erano dei veicoli
volanti che i testi sanscriti chiamano
Vimana.
Nel Ramayana viene descritto uno di questi ordigni volanti che
consente a Rama (che è allo stesso tempo l'eroe del poema epico
indiano e l'incarnazione del dio Visnu sulla terra), dopo una
battaglia, di sorvolare per ben duemila chilometri il territorio che
lo separa dalla sua città. La descrizione del paesaggio visto
dall'alto è molto particolareggiata e qualcuno si è chiesto come
facesse l'autore del poema a conoscere in dettaglio la geografia aerea
di un territorio così vasto.
Gli ultimi giorni di Mohenjo-Daro
Ma per tornare a Mohenjo-Daro, secondo Davenport,
sempre nel Ramayana troviamo la descrizione di un
episodio che potrebbe essere la cronaca degli ultimi giorni di quella
città.
Si tratta di un passo del poema in cui viene narrata la distruzione
del Regno di Danda, identificato con la mitica
città di Lanka, roccaforte di Ravana, il più
acerrimo avversario di Rama. Lanka
significa isola, e guardacaso Mohenjo-Daro
si trovava proprio su un'isola nel corso del fiume Indo.
La distruzione del reame di Danda prende il via da un
atto di violenza sessuale perpetrato da Danda stesso nei
confronti della giovane Araga figlia del Divino
Rishi Bhargava. Questi per vendetta scatena la terribile
potenza di Indra contro l'avversario. Ma lasciamo la parola al testo
del Ramayana:
"Commesso
quel fiero e orribile misfatto, se ne ritornò Danda alla nobile sua
città di Madhumanta ... Avendo Danda per tal modo commessa un'opera
atroce, ne ebbe quindi terribile castigo ... 'è giunta l'ora (qui è il
Divino Rishi a parlare) dello sterminio di quell'insano e reo Danda e
de' suoi seguaci ... d'ogni parte per lo spazio di cento yogani arderà
Indra il reame di quel malvagio con una pioggia di polvere
soverchiante. Quanti esseri si troveranno quivi, mobili ed immobili,
tutti periranno in breve per quella pioggia di polvere; e per quanto
si stende il reame di Danda, ogni qualunque altura diverrà infra sette
giorni come un'immensa congerie di pioggia di polvere' ... e in sette
giorni tutta quella contrada fu incenerita."
Da
un'esplosione nucleare?
Le evidenze fisiche
Per Davenport è andata proprio così. Lo studioso inglese però
non si è limitato a una semplice analisi filologica dei testi indiani.
Si è anche recato in Pakistan, a Mohenjo-Daro, per
cercare una conferma alle proprie teorie. Qui ha raccolto alcuni
indizi e reperti interessanti che ha fatto analizzare scrupolosamente
dagli esperti del CNR di Roma i quali hanno fornito un
responso sorprendente.
Gli oggetti da lui riportati (bracciali, anfore, pietre...) e raccolti
nella zona della città che egli ritiene l'epicentro della presunta
esplosione appaiono come fusi o per meglio dire vetrificati per
effetto di un calore che gli esperti hanno stimato nell'ordine dei
1500 gradi, al quale è seguito un repentino
raffreddamento. Non ci sono eventi catastrofici naturali in grado
di provocare un simile effetto e tantomeno è possibile chiamare in
causa le armi convenzionali dell'epoca.
Un altro indizio importante è riscontrabile proprio sul luogo della
catastrofe. Uno studio sulle rovine bruciate della città ha messo in
rilievo che la loro diversa altezza in rapporto al presunto epicentro
può essere spiegabile se si prende in considerazione l'ipotesi di una
grande esplosione in quota che avrebbe prodotto un'onda d'urto tale da
abbattere le abitazioni in relazione alla distanza.
L'ombra dei "visitatori"
Dunque circa quattromila anni fa gli antichi abitanti dell'India
sfrecciavano nei cieli a bordo di aerei non molto dissimili dai
moderni cacciabombardieri e si fronteggiavano a suon di missili
nucleari per dirimere contese territoriali e per riparare torti
subiti?
In realtà l'ipotesi di Davenport si spinge ancora più in là.
Egli fa notare che il Ramayana e il Mahabharata
affermano che i protagonisti delle vicende descritte dai testi
sanscriti, cioè i popoli Ari e dravidici non erano affatto in grado di
pilotare i vimana da soli.
A farlo secondo Davenport erano degli esseri Extraterrestri.
"Nella
valle dell'Indo - afferma lo studioso nel suo libro "2000 a.C.
Distruzione atomica" (SugarCo - 1979) scritto in
collaborazione con il giornalista italiano Ettore Vincenti -
doveva essercene un buon numero (di extraterrestri), almeno fino al
300 a.C. Probabilmente il loro scopo era lo sfruttamento di alcuni
giacimenti metalliferi, per il quale utilizzavano manodopera del
posto. Quanto poi ai loro interventi diretti nelle guerricciole tra
gli indigeni, si può ipotizzare che l'uso della loro sofisticata
tecnologia militare voleva significare la loro capacità di porre fine
a qualsiasi bega che disturbasse il quieto svolgimento della loro
missione sulla Terra. Quando in seguito il loro programma di ricerche
e di sfruttamento, si è concluso se ne sono andati, lasciando il loro
ricordo impresso nella memoria degli indigeni, che lo tramandarono ai
loro discendenti sotto forma di racconti, che con il passare del tempo
si deformarono sempre più, trasformandosi in miti e leggende."
La teoria
è azzardata ma anche molto affascinante. Naturalmente gli
archeologi ufficiali inorridiscono al solo pensiero di una
simile spiegazione. Tuttavia per quanto azzardata è un'ipotesi che va
confutata sulla base dei fatti e per questo la ricerca in questo campo
dovrebbe essere portata avanti seriamente. Può darsi che le
esplosioni atomiche e i vimana non c'entrino per
niente ma allora bisogna spiegare il perchè di quei curiosi effetti
fisici rilevati sui reperti raccolti nella zona.
Sfortunatamente, però, le ricerche di Davenport si sono
interrotte a causa della sua prematura scomparsa e nessuno ha finora
deciso di continuarle. L'unica possibilità a questo punto è quella di
sperare in una prossima decifrazione della scrittura di
Mohenjo-Daro. Chissà, forse la chiave dell'enigma sta proprio
in quei misteriosi segni che purtroppo per ora ci risultano
illeggibili.
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