di Mauro Paoletti
dal Sito Web Edicolaweb
 

Mohenjo Daro è un sito archeologico che rappresenta tuttora un appassionante interrogativo, antica sede di una civiltà, di cui si ignorano le cause della repentina scomparsa, che adottò una scrittura di tipo pittografico dal significato ancora sconosciuto e dove si indossavano abiti di cotone (1); il più antico finora scoperto. Mohenjo Daro, luogo dove non ci sono tombe, è chiamato la Collina dei Morti.


È il luogo degli scheletri "estremamente radioattivi" (2). Scheletri, con tracce di carbonizzazione e calcinazione, oramai scomparsi, che ai ricercatori hanno testimoniato decessi istantanei e violenti.


Resti di uomini, donne e bambini, e non di guerrieri morti in battaglia. Non si sono ritrovate armi, e nessun resto umano porta ferite prodotte da armi da taglio o da guerra.


Le posizioni e i luoghi dove sono state rinvenute le ossa indicano decessi istantanei, avvenuti senza avere il tempo materiale di rendersi conto di ciò che stava accadendo; le persone sono state colte durante lo svolgimento delle abituali azioni giornaliere. Sono passate dal sonno alla morte, insieme a decine di elefanti, buoi, cani, cavalli, capre e cervi.


La città è tornata alla luce nel 1921, quando l'archeologo Daya Harappa, dal quale prese il nome la civiltà scoperta, ebbe l'incarico di recuperare le rovine di un tempio buddista situato su di una isoletta in mezzo all'Indo. In precedenza nel 1856, John e William Brunton, incaricati di costruire un tratto di ferrovia, segnalarono che in zona si trovavano rovine dalle quali furono prelevati numerosi mattoni per costruire una massicciata ferroviaria. Gli scavi, proseguiti dal governo Pakistano, hanno restituito ben sette città, una sopra all'altra, e altre se ne ritroverebbe se continuassero gli scavi al di sotto del livello del fiume.


Sette città che gemellano questa collina con quella di Troia.

 

Zona archeologica vista dall’aereo.

Uno dei manufatti fusi dall’improvviso ed elevatissimo calore.

Pozzi che portavano l’acqua ai piani superiori delle abitazioni signorili, in una zona lontana dall’esplosione.

La posizione dello scheletro testimonierebbe una fine violenta e improvvisa.

 

 

 

Muro con lo scarico attraverso il quale venivano eliminati i rifiuti dai piani superiori delle case; al piano terreno, in corrispondenza degli scarichi, venivano poste grandi giare che venivano svuotate periodicamente.

 

 

Mattoni e argilla fusi insieme a causa di un elevatissimo calore.

Effetto del calore sulle pietre. Le bolle presenti certificano la temperatura elevatissima a cui sono state esposti per una frazione di secondo.

Campionario di pietre nere fuse dall’elevato calore.

Cartina della zona.

Scheletri di 13 persone rinvenuti fa John Marshall, da cui si desume la teoria di una distruzione improvvisa.

 

 

La posizione degli scheletri testimonierebbe una fine violenta e improvvisa. Nel caso particolare si tratta di una famiglia fulminata durante una passeggiata in strada.

Veduta aerea di Moehnjo Daro. Si distingue il letto dove scorreva il braccio secondario dell’Indo che trasformava la cittadella in un’isola.

La zona dove è stato localizzato l’epicentro dell’esplosione che ha distrutto la città.

Zona archeologica. Mura di palazzi e scavi.

Zona archeologica.

Misteriosi anelli di mattoni di cui non si conosce la funzione; un’ipotesi le classifica come piattaforme per spargere ed essiccare il grano.

 

 

 

 

 

Le fognature, anche coperte, della città.

 

Testina con casco

"elmo da guerra"

Fosse biologiche, pozzetti e latrine comuni alla civiltà della Valle dell’Indo da Harappa, a Lothal, a Mohenjo Daro, noti sofisticati lavori che includevano sistemi di drenaggio, fognature, pozzi artesiani, latrine, bagni pubblici e privati.

 

 

Zona dell’epicentro. I piccoli rilievi sono quanto rimane delle case e questo fa pensare agli effetti di un’esplosione avvenuta in quota.

 

 

   

Referto del CNR - Roma, sui campioni prelevati a Moehnjo Daro.

   


Mohenjo Daro con la sua piscina coperta di dodici metri, priva di templi e di una reggia, caratteristiche di ogni città antica; ma con strade larghe anche dieci metri e palazzi, costruiti in mattoni del tutto simili ai nostri, alti fino a tre piani, provvisti di acqua corrente, servizi igienici, tubazioni, cloache per i rifiuti e l'acqua piovana. In altre parole, una città moderna di quarantamila abitanti, dediti alla caccia, alla pesca, alla produzione di ceramica, principale attività industriale del luogo, scomparsi nel nulla, finiti carbonizzati, come si è dedotto dai soli quarantatré resti ritrovati.


Con gli abitanti di Mohenjo Daro è scomparsa misteriosamente anche una testina in terracotta, senza volto, con una strana "finestrella all'altezza degli occhi", della quale rimangono solo le foto scattate da Davemport e Vincenti, indicata come un "elmo da guerra".


Curiosità: non è stato rinvenuto nessun elmo di quel tipo.


I primi insediamenti nel bacino dell'Indo risalirebbero a 9.000 anni fa. Secondo le stime vi erano oltre 2500 centri abitati. Principale risorsa i manufatti ceramici di eccezionale qualità tecnologica, con contenuto siliceo medio-alto. A Mohenjo Daro, che si vuole distrutta dallo scoppio di due delle numerose fornaci presenti, a causa di una eccessiva temperatura raggiunta nella camera di combustione, evidenziata, secondo la scienza ufficiale, da blocchi parzialmente fusi e migliaia di gocce nerastre di argilla vetrificata. Gli scavi sono vietati, si dice, per "esigenze conservative".

David Davemport e Ettore Vincenti, autori di "2000 a.C. Distruzione Atomica", fecero esaminare alcuni detriti anneriti raccolti nella zona considerata l'epicentro dell'esplosione, campioni di vasi e mattoni, bracciali vetrificati. Dalle analisi, effettuate dall'Istituto di Mineralogia dell'Università di Roma, l'argilla risultò, come già accennato precedentemente, sottoposta a una temperatura di oltre 1500 gradi per qualche frazione di secondo. Questo avrebbe causato l'inizio di una fusione subito interrotta, escludendo che il calore di una fornace, tanto meno altre calamità naturali, possano produrre un tale effetto. I risultati vennero confermati dal Prof. Bruno Di Sabatino, vulcanologo dell'Istituto di Mineralogia e Petrografia, col quale collaborarono il Prof. Amuleto Flamini e il Dr. Giampaolo Ciriaco.


Ulteriore prova dell'assenza di fenomeni vulcanici e sismici, i pozzi di acqua rimasti al loro posto. Secondo Davemport, esperto in sanscrito, il Ramayana fornirebbe la giusta chiave di lettura. Vi è descritta la vicenda di Ravana di Lanka che costringe il fratello Dhanada a ritirarsi sull'Himalaia impadronendosi del regno. Ravana lo insegue, lo vince e fa suo il veicolo volante, il prestigioso "Pushpaka vimana". Si parla di un velivolo equipaggiato con pilastri d'oro, porte di smeraldo, veloce come il pensiero, costruito su ordine di Brahma. A bordo di questo vimana, Ravana, discese dal monte Kailash.


Nella parte del poema chiamata "Uttara Kanda", nel capitolo 23, è scritto:

"Vedendo il loro esercito abbattuto in volo, i figli di Varuna, sopraffatti dalla pioggia di missili, tentarono di interrompere il combattimento. Stavano fuggendo sottoterra (3) quando videro Ravana sul suo Pushpaka Vimana. Cambiarono repentinamente rotta e si slanciarono verso il cielo con la loro flotta di macchine volanti. Una terribile lotta scoppiò nell'aria."

Ravana rapisce Sita, figlia di Jawata re della città di Mithila e sposa di Rama, il quale dopo un'aspra battaglia ucciderà Ravana e libererà Sita. Nel capitolo 88 dell'Uttara Kanda si legge la reazione di Re Jawata:

"Arderà Indra il reame di quel malvagio con una pioggia di polvere soverchiante. È giunta l'ora dello sterminio di quell'insano e dei suoi seguaci."

Quindi il dardo di Indra distrugge la roccaforte di Ravana. Ma il suo regno, posto fra i monti Vindhya e Saivala, gli odierni Aravalli e Sulaiman, corrisponde a Lanka, parola che significa isola, cioè Mohenjo Daro situata proprio su di un isola del fiume Indo. Conclusioni audaci, ma più attendibili di qualsiasi altra, che si riallacciano alle storie sui vimana, comune mezzo di trasporto del popolo venuto dalle stelle, narrate nel Ramayana e nel Mahabharata.


Con tale tecnologia non si può escludere l'uso di armi atomiche, né che proprio l'uso di tale energia sia la causa della scomparsa di "Lanka". Altri popoli ci narrano vicende simili. Dalla Cina giungono storie di eventi che ricordano quelli descritti nei due libri sacri Indiani. Si dice che la Cina fu governata da re divini per diciottomila anni, fatto in comune con l'India e l'Egitto. Si racconta di un'epoca nella quale uomini e animali vivevano in armonia in un giardino che ricorda tanto il Paradiso.


Nel Shan-hai-ching, un libro sacro, si parla dei "Miao", una razza umana dotata di ali che nel 2400 a.C. vennero a diverbio col Signore delle Altezze e persero la capacità di volare.


Si parla anche di quando il Signore Chang-ti, vedendo che la razza degli Atlantidi aveva perduto ogni virtù, ordinò a due Dhyani (4), Chang e Li, di interrompere ogni contatto fra cielo e terra. Vi si trova la storia dei dieci soli e dell'arciere Yi; ma vi è descritta la vicenda di quattro giganti celesti che, alla testa di centomila guerrieri, corrono in aiuto di Shang impegnato a difendere la montagna di Hsich'i. Il gigante più anziano era alto sette metri e aveva una spada detta "nuvola blu". Quando egli la sguainava spuntava "un vento nero dal quale uscivano migliaia di lance che colpivano il nemico polverizzandolo".


Dietro al vento "una ruota di fuoco riempiva l'aria di decine di migliaia di serpenti di fuoco dorato", dal suolo si alzava un fumo denso che bruciava e accecava le persone. Nel corso della lettura troveremo anche gli Immortali a cavallo di dragoni e unicorni, forse velivoli; conosceremo il Vecchio Immortale del sud che proveniente da Agarthi e dona a Tzu-Ya, eroe della storia, un'arma "che brucia il suolo e produce luce", con la quale potrà conquistare il mondo.

Storie uguali a quelle dell'India, dei Celti della tribù dei Tuatha de Danan, che si verificano in ogni parte della terra nello stesso periodo e richiamano alla mente l'uso di armi atomiche, laser e marchingegni volanti. Rama dopo aver vinto Ravana, vola verso la città di Ahyodhya col Pushpaka Vimana vinto al nemico, per ricondurre Sita a casa. La descrizione del viaggio testimonia che Rama è abituato a volare. Dall'alto riconosce i luoghi sorvolati e li elenca a Sita. Menziona ancora il Kailash e la sua forma piramidale, indicandolo come il luogo "visitato da uomini del cielo" e usato come punto di riferimento in conseguenza della sua forma.


Coincidenza si parli del Monte Kailash, considerato sacro tutt'oggi e della sua forma piramidale, e che il nome Sita sia lo stesso che si attribuisce al fiume di Shambhala?


La storia conferma inoltre che Mohenjo Daro è Lanka:

"Vedi come Lanka è stata costruita da Vishvakarma sulla cima della rocca a tre punte che somiglia al picco del Kailash (5). Guarda il campo di battaglia coperto da un fango di carne e sangue, laggiù è stata fatta una grande carneficina di Titani (6). Laggiù giace il feroce Ravana. (...) Ora abbiamo raggiunto KishKindha con i suoi magnifici boschi, in quel luogo ho ucciso Bali."

Rama è esperto nella geografia aerea di un territorio vasto ben duemila chilometri.


Chi ha scritto il Ramayana come poteva conoscere tutto questo? L'autore era un esperto del volo e in possesso di carte geografiche dell'intera regione? Secondo Davemport,

"gli antichi autori hanno sicuramente visto e sono stati testimoni dei loro effetti; ma, in conseguenza della povertà di linguaggio, o mancanza dei termini necessari, l'immagine che ne danno è carente dal punto di vista tecnico-descrittivo".

Questo è già capitato quando i pellerossa sono entrati in contatto con la tecnologia dei bianchi. Abbiamo avuto "le canne tonanti", i "lunghi coltelli", il "cavallo di ferro". Gli Ariani hanno visto la "freccia intelligente", "l'uccello abitato", la "freccia che segue i suoni", "l'arma del sonno". È il Vymanika Shastra che fornisce i dati tecnici per ottenere un oggetto volante del tutto simile alle capsule spaziali.


Appare evidente che l'autore di questo libro ha potuto osservare a lungo i "Vimana", tanto da fornire accurate informazioni. Il Dr. Josyer, direttore dell'Accademia Internazionale di Ricerche Sanscrite di Misore, ci fornisce queste informazioni. Secondo Davemport e Vincenti, il ritrovamento può contribuire a far avanzare la nostra tecnologia. Altre prove in favore della tesi di Vincenti e Davemport, purtroppo scomparsi prematuramente, vengono fornite dagli studi del Dr. Roy direttore dell'Istituto di Cronologia di Nuova Delhi.


Dalle indagini storico-archeologiche, risulta che effettivamente Mohenjo Daro è la Lanka di Dasagriva, il Ravana menzionato nel Ramayana. Il poema è stato infatti ordito intorno alla conquista di Mohenjo avvenuta quattromila anni fa. Il Dr. Roy identifica il moderno Kalat nella regione che a quel tempo era conosciuta come Kishkindha. Un punto dell'Indo ove il linguaggio, detto Telogu, era una elaborazione di quello della famiglia Dravinian.


Nella guerra Deva Asura, tale Dasatha combatte contro Timidhwaja, appartenente alla razza dei Rakshasa e alleato di Shambara, il cui emblema, un Timi (balena), fa presupporre vivesse vicino al mare, forse nel Makran dove viveva anche Ravana. Inoltre "ravana" era un titolo, un semplice appellativo, non un nome proprio, il nobile ucciso da Rama era Dasagriva, conosciuto come Signore di Lanka, cioè Ravana di Lanka.


Dai dati storici veniamo a sapere che Dasagriva Ravana era amico del re di Kishkinda. Il regno di Ravana era nel Sind, e Mohenjo Daro ne era la capitale. Quindi l'impero Harappa aveva al nord la cultura della razza Danava col suo centro a Hariupia; al sud i Rakshasa con Mohenjo capitale, conosciuta come "l'isola", ossia Lanka in lingua Telogu,

"una stretta striscia di terra fra il letto principale dell'Indo e la curva ovest del fiume Nara, soggetta ad alluvioni fino a quando un lungo terrapieno fu in grado di prevenirle".

Ci sono resti del terrapieno preistorico per un miglio. Sono evidenti anche le successive alluvioni con la conseguente deposizione di strati di sedimenti di sabbia che hanno alzato il piano di trenta piedi. Gli studi idrografici condotti nella regione del Sind hanno dimostrato che l'Indo ha allagato l'Ovest di Mohenjo Daro nel 2000 a.C.. Ulteriore dimostrazione il gigantesco terrapieno anti alluvione che lo circonda.


A quel tempo, durante le alluvioni, doveva apparire come veniva descritta, la Swarna Lanka: l'isola d'oro. Anche le battaglie del Mahabharata sarebbero realmente avvenute. Secondo Roy nel 1424 a.C. La conferma dal Mahabharata che apparterrebbe all'età del Rame, poiché l'antichissima parola vedica "ayas" significa "rame".


Il Dr. Roy afferma che Vyasa usò la parola "ayasa bhima", non "Iron Bhima". Gli scavi avrebbero rivelato che l'ultima cultura Harappa e quella Kuru, sono state coesistenti, e il Dr.Roy ha dimostrato che queste due culture appartenevano all'età del Rame, quindi all'età Vedica. Il materiale astronomico del Rig Veda rivela che nel 3070 a.C. regnava re Manu; nel 2000 a.C. Rama e Dasaratha. Nel 2005 a. C. avvenne la disfatta e il sacco di Lassa collocando così Divodasa nel 2005 a.C.


A quel tempo nel paese vivevano diversi popoli. Vi erano i Devas, gli ariani vedici, adoratori di Indra, e gli Asura, fautori di feroci guerre intorno al 2000 a.C., che valsero loro l'appellativo di malvagi. Un fatto storico che partì dal regno di Divodasa nel 2030 a.C., e finì con la grande battaglia "Dasa Rajana". Abbiamo così la conferma che Dasaratha prende parte attiva alla guerra schierandosi con Divodasa contro Timidhwaja, e questo fatto dimostra che la battaglia si svolse fra due armate umane.


I Danavas erano comandati da Shambara, re di Hariyupia, figlio di Kulitara, che visse e governò intorno al 2000 a.C.. Divodasa mosse una guerra contro di lui, lo uccise, e Hariyupia (ossia Harappa) fu conquistata. L'intera regione Asura fece un’offerta per riscattare la città, ma in un’orribile battaglia sul fiume Parushni (oggi Ravi), Sudasa li respinse. Si tratta di una battaglia nota come quella dei dieci Re (1930 a.C.). I dati storici forniscono anche la data di progettazione della città di Harappa, il 2550 a.C.


Nella regione Harappa vi era una civiltà commerciale per eccellenza, popolata anche dai Nagas e dai Janas anch’essi ottimi commercianti e industriali. Nel poema si trovano riferimenti anche ai Vanaras e al loro grande re Bali, alleato di Ravana, in tal modo tutto prende forma e trova le giuste corrispondenze storiche; non si può parlare più di coincidenze.


Dobbiamo considerare la possibilità che siano state impiegate tecnologie avanzate, e l'uso di armi atomiche, quattromila anni fa (e non solo in India). Un’indagine, seppur limitata nella sua fattibilità, nella zona potrebbe fornire altre prove. Basterebbe verificare l'aumento dei decessi in seguito a tumore, quanti fra gli addetti agli scavi; quante le registrazioni di oggetti aventi tracce radioattive.


Vi sono ancora aree con tracce di radioattività, che, a quanto si racconta, molti, tuttora, eviterebbero per "non essere uccisi dagli spiriti cattivi"? Attraverso la consultazione, pur sempre limitata, di documenti e registri anagrafici o mortuari; qualcosa, se si vuole, credo si possa accertare.
 

 


Note

1. La pianta del cotone, proveniente dalle Americhe, fu introdotta nel Mediterraneo solo nel 300 a.C.
2. Secondo Gobrovski, autore di "Enigmi dell'Antichità", cinquanta volte più della normalità.
3. Davemport e Vincenti si chiesero se si trattava di rifugi sotterranei.
4. Appellativo con il quale si indicano gli Dei nella dottrina esoterica come vedremo più avanti.
5. Questo ricorda la città delle tre alture e le sue storie.
6. In tal modo erano indicati gli abitanti di Lanka.